ANNO 2017, In primo piano

CORSO DI ALTA FORMAZIONE

Mediascape

Il corso per l’anno accademico 2015-2016 della Scuola di Aggiornamento e Alta Formazione “Giuseppe Arcaroli” è stato incentrato sul peacebuilding e sui diversi ambiti di azione e di pensiero che hanno come scopo la costruzione della pace.

Si tratta senza dubbio di una delle più alte, più nobili e anche più urgenti aspirazioni dell’umanità, ma altresì una delle più ardue, a causa delle pulsioni distruttive insite nel genere umano e degli interessi economici e materiali che troppo spesso trovano terreno fertile nelle guerre e nei conflitti.

La costruzione e il mantenimento della pace, per essere durevoli ed effettivi, devono obbligatoriamente basarsi su presupposti culturali forti e, stante l’interconnessione tra tutte le componenti della cultura intesa in senso lato, questo non può che richiedere una trasformazione profonda di molti settori della società, sia nel campo pubblico che in quello più privato.

I lavori scelti per questo secondo quaderno della Scuola, di estremo interesse come tutti gli elaborati prodotti dagli studenti, rispecchiano nella loro varietà la complessità di questa grande impresa dello spirito.

Il ruolo della comunità internazionale, argomento che ricorre in questi saggi, è certamente molto importante e fin dall’inizio del secolo scorso una delle sue prime ragion d’essere, se non la principale, è stata quella di trovare degli strumenti giuridici e diplomatici per porre un argine al dilagare della “guerra totale”, di cui il conflitto mondiale del 1914-1918 è stato il primo drammatico esempio.

Purtroppo la storia ha dimostrato finora che i nobili principi su cui è stata creata la Società delle Nazioni prima e poi l’Organizzazione delle Nazioni Unite hanno trovato un ostacolo insuperabile negli interessi politici dei singoli stati e in particolar modo nella tensione tra le grandi potenze mondiali.

Questo ha impedito finora che questi consessi potessero acquisire un’autorevolezza indiscussa e soprattutto un riconoscimento di imparzialità, senza i quali il loro operato non potrà mai efficacemente porsi come un baluardo contro le guerre e i conflitti, a prescindere dalle buone intenzioni delle deliberazioni e dei trattati.

Troppo spesso poi la comunità internazionale ha limitato il suo ambito di dibattito e di azione alla questione, pure di notevole importanza, dell’intervento militare a garanzia della sicurezza collettiva e del ristabilimento della pace nelle aree di crisi. Un modo di agire questo che in diversi casi ha contribuito ad accentuare i problemi che intendeva risolvere, soprattutto nel lungo periodo.

Il dibattito sulla gestione sopranazionale dei conflitti al fine di trovare una soluzione pacifica è di antica data, ma affinché esso diventi proficuo è indispensabile una evoluzione culturale complessiva che coinvolga tutti i settori della cultura e della società. Una sempre maggiore partecipazione delle donne nelle missioni di pace – tema questo toccato da uno dei saggi scelti – e più in generale nei processi di pace può sicuramente giocare un ruolo molto positivo in quest’ambito.

La necessità di un cambiamento culturale, oltre che della predisposizione di condizioni materiali adeguate, è ancor più impellente nel processo di gestione della convivenza tra persone di origine, religione, usi e costumi diversi, sempre più frequente nella odierna società globalizzata. Un processo, questo, certamente difficile ma anche ricco di stimoli e di potenzialità che si intreccia molto strettamente con la costruzione di una convivenza pacifica tra i popoli.

Si tratta di un punto cruciale per il presente e per il futuro del mondo, rispetto al quale certi settori sociali hanno una particolare responsabilità: si fa riferimento in modo specifico al mondo dell’informazione, sia in senso stretto che in senso lato, dal quale dipende in larga parte la percezione di questo fenomeno da parte dell’opinione pubblica.

Vanno evitate in modo più assoluto sia le strumentalizzazioni che le semplificazioni eccessive di fenomeni che per la loro natura sono assai complesse. Il saggio su Le cause endogene della deriva jihadista” è un bell’esempio di approfondimento su fatti le cui reali motivazioni vanno al di là di formule e slogan utili solo a chi continua a ripeterli per puro interesse di parte.

Un altro aspetto assai importante del peacebuilding, toccato nei saggi qui riportati, è la cura e l’assistenza morale e materiale delle vittime dei conflitti e delle loro famiglie.

Non va infatti mai dimenticato che le vittime delle guerre e i loro cari subiscono dei traumi profondi – personali e collettivi – che segnano tutta la loro esistenza e quella delle generazioni a venire, con conseguenze dolorose e a volte anche imprevedibili. Si tratta in senso lato del corrispettivo, a livello umano, del fenomeno degli ordigni bellici inesplosi che restano nascosti ma presenti nella terra per decine di anni anche dopo la cessazione della guerra, condizionando tutta l’esistenza della popolazioni che vi si trovano a vivere.

Senza il riconoscimento e poi la presa in carico da parte della società delle sofferenze delle vittime delle guerre e dei conflitti, è impossibile dissolvere quel “ciclo di violenza” senza fine in cui milioni di persone sono imprigionate e la prospettiva di un mondo pacifico resterà comunque un’utopia.

Il peacebuilding richiede insomma un ripensamento complessivo dei nostri modi di vivere e di pensare, che coinvolge tutti i settori della vita e della società e a cui quindi ognuno può dare il suo piccolo grande contributo. La Scuola “Giuseppe Arcarcoli” è stata voluta dall’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra e dall’Associazione Nazionale dei Reduci dalla Prigionia proprio con questo spirito.

Enzo Orlanducci

Presidente Nazione ANRP

Giuseppe Castronovo

Presidente Nazionale ANVCG