ANNO 2004

Anna Maria Isastia

Edizioni ANRP

La prigionia di guerra costituisce un’esperienza che ha coinvolto, all’indomani della prima e della seconda guerra mondiale, oltre due milioni di soldati italiani, ma per ragioni complesse e spesso inconfessabili, di questa esperienza di massa ci si è voluti troppo in fretta dimenticare. All’indomani della vittoria nella prima guerra mondiale, nel 1918, di tutto si parlò meno che degli oltre 600.000 militari italiani prigionieri, 100.000 dei quali erano morti in cattività.
Nella ricchissima bibliografia sul primo conflitto mondiale, italiana e straniera, gli studi che si occupano della prigionia sono veramente pochi. Si possono citare, ad esempio, di Carlo Emilio Gadda, Giornale di guerra e di prigionia e Diario di guerra e di prigionia (ottobre 1917-aprile 1918). Pubblicazioni legate alla fama dell’Autore, più che ad un reale interesse per la materia. La stessa Relazione ufficiale dello Stato Maggiore dell’Esercito – Ufficio Storico, dedica alla prigionia pagine interessanti, ma non approfondite. Le altre opere, tutte edite prima del 1940, sono in tono minore, dimesso, quasi che i prigionieri non avessero il coraggio o l’ardire di raccontare le loro vicende e sventure. Occorre anche rilevare che il fascismo non aveva grande interesse a parlare di situazioni che contrastavano con la simbologia ufficiale. Fondamentale appare dunque il volume di Giovanna Procacci, Soldati e prigionieri italiani nella Grande Guerra, pubblicato nel 1993.
La situazione però non cambia all’indomani della conclusione del secondo conflitto mondiale. In pieno disastro morale e materiale pochi avevano voglia di interessarsi dei problemi e delle vicende dei prigionieri. Anche nel secondo dopoguerra, quindi, si cerca di dimenticare in fretta tutte le problematiche legate alla prigionia. Alcuni protagonisti di quelle vicende descrivono la loro esperienza sulla quale nuovamente cala il silenzio. Nel corso degli anni si sono formate alcune associazioni di ex prigionieri con lo scopo di mantenere viva la memoria di una tragedia collettiva. Dobbiamo a queste associazioni la pubblicazione di scritti, memorie e diari della prigionia conosciuti sempre e solo all’interno di un piccolo mondo chiuso, ma ignorati dal grande pubblico.
Conoscendo e frequentando questo mondo, parlando con tanti protagonisti di queste vicende che sembrano così lontane, leggendo tanti diari gonfi di dolore e di denuncia, ho ritenuto che fosse giusto dedicare un corso universitario ad un argomento così trascurato. Ho raccolto e selezionato scritti che illustrano i vari aspetti dei problemi trattati e soprattutto mi sono avvalsa della insostituibile collaborazione del col. Dott. Massimo Coltrinari che da anni studia la prigionia militare ed è autore di pubblicazioni su questo argomento. Alcuni dei testi che seguono portano la sua firma.
Nato per offrire un quadro generale della problematica agli studenti universitari questo volume ha tutti i pregi e i difetti di una raccolta di saggi di autori diversi: alcuni sono storici, altri giuristi, altri sono invece testimoni degli eventi narrati.
Ne emerge il ritratto di un paese che dall’unità ad oggi ha sempre trascurato i suoi soldati caduti prigionieri: non c’è una significativa differenza tra l’Italia liberale, quella fascista e quella democratica del secondo dopoguerra. Dovremmo interrogarci sul perché di questo atteggiamento culturale che vede nel prigioniero un “peccatore” contro la Patria mentre nei paesi anglosassoni, ma anche nella vicina Francia, il prigioniero di guerra è tenuto nella massima considerazione. In pratica esso è considerato un soldato sfortunato, che comunque nella difficile vita in cattività ha contribuito a servire il suo Paese.
Lo studio della prigionia ci consente di avvicinarci al tema della guerra da un angolo visuale molto particolare, assai poco pratico, ma forse più vicino alla nostra sensibilità attenta alla dignità della persona e allo sviluppo del diritto umanitario.