(da “Rassegna” – anno XXI – n. 1 Gennaio 1999)
E’ questo lo “slogan” che mi è venuto alla mente in maniera spontanea, allorché mi sono accinto a buttar giù qualche pensiero a commento della manifestazione celebrativa della Festa del Tricolore.
Una celebrazione la nostra – quella voluta, organizzata e condotta dall’ANRP il 10 gennaio c.a. – che ha inteso rompere tutti gli schemi stereotipati della retorica fuori del tempo, per presentare l’evento in forma gioiosa, trasformandolo in una festa della gente e per la gente: una festa coinvolgente di massa più che il consueto rituale celebrativo da parte di pochi a beneficio di pochi, sì che gli spettatori sono stati nel medesimo tempo attori essi stessi, tutti egualmente partecipi di una commemorazione corale.
Confesso che, all’inizio, quando il Prof. Orlanducci ebbe a presentare a me – nella mia qualità di componente del “Comitato per la celebrazione del bicentenario della prima Bandiera Nazionale”, nominata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – l’idea di un drappo da far srotolare lungo un percorso quanto mai suggestivo, sentii il bisogno di pensarci un po’ per coglierne il significato ed immaginare, oltre alle implicazioni di ordine organizzativo, esecutivo che comportava, l’impatto che potesse avere sul pubblico in termini di messaggio da recepire e trasmettere.
Già la lunghezza del Tricolore da dispiegare – ben 1.570 metri – costituiva di per sé, in termini di primato da inserire nella lista dei “Guinness”, motivo di richiamo non trascurabile.
Questo, però, non sarebbe bastato se fosse prevalso lo spettacolo fine a se stesso.
Lo scopo era ben altro, ravvivare nel pubblico – attraverso lo spettacolo, appunto– un sentimento
che sembra talvolta sopito, quello di una comunanza di destino di fondamentale importanza, oltre che nel richiamo storico, nella sua proiezione futura.
La rapida analisi fatta ci portò a concludere che la proposta, senza dubbio assai ardita e senza precedenti di sorta, aveva una carica innovativa di enorme portata, addirittura dirompente, in quanto tendeva a far rivivere in ciascuno dei presenti, visivamente e senza alcuna intermediazione a commento, il percorso ideale di un simbolo, espressione emblematica di un comune destino.
Ci si riprometteva di presentarne il significato in una forma più aderente alla sensibilità dei tempi, facilmente comprensibile – appunto perché moderna – da parte soprattutto dei giovani. A loro, in modo particolare, volevamo offrire la sensazione immediata di un solidale cammino, iniziato da lontano, ma destinato a proseguire per il bene di tutti; una sensazione da percepire attraverso la dinamica rappresentazione di un drappo che si srotola in quanto sorretto e trascinato da mani sincronicamente unite in uno stesso sforzo, costi quello che costi.
Lì per lì, i diffidenti di turno avranno pure pensato che, rompendo appunto gli schemi consolidati nel tempo in materia di celebrazioni commemorative, si finisse con il dare libero spazio all’”effimero”, a far prevalere la forma rispetto ai contenuti.
Non comprendevano costoro – i diffidenti di turno – che il messaggio, di cui intendevamo essere i portavoce, per essere compreso, non poteva che servirsi del linguaggio del nostro tempo, di questo tempo che vive di immagini e per immagini. Solo così sarebbe giunto ai destinatari con immediatezza e senza distorsioni di alcun genere, solo così sarebbe risultato comprensibile alle nuove generazioni. Quei 1.570 metri di Tricolore dispiegati da una imponente schiera di portatori, espressione sintetica della società nazionale, hanno fatto capire, con immediatezza e senza intermediazione di sorta – forse ancor più che qualsiasi altra soluzione celebrativa – che l’idea di Nazione va vista nella sua dinamica storica, in un cammino per tappe successive, il cui raggiungimento richiede l’impegno di una pluralità di soggetti con un movimento sincronizzato che esalta l’apporto del singolo soggetto. E soggetti siamo tutti i cittadini di questo meraviglioso Paese.
Abbandonandosi per un po’ all’immaginazione, è bello pensare che su quelle bande dai colori così cari possano essere stati idealmente segnati i nomi di coloro che, fedeli al giuramento prestato, hanno operato con dignità ed onore, in pace ed in guerra, al servizio della Patria comune nei due secoli di storia tricolore e per essa hanno sopportato sacrifici e disagi o, addirittura, immolato la loro vita.
Ebbene la bandiera più lunga del mondo ha voluto sottintendere anche questo.
Abbandonandosi alla speranza, è bello immaginare che questo rito innovativo – che di rito ormai si tratta! – possa continuare in futuro, aggiungendo al drappo, già così lungo, un metro ulteriore di stoffa per ogni anno che passa.
Grazie, Signor Presidente della Repubblica, per questo suggerimento che ha voluto darci a commento della nostra iniziativa, nel corso dell’udienza che ci ha benevolmente concesso, ricevendoci al Quirinale. Di questo onore Le siamo profondamente grati. Le sue nobili parole di approvazione e sostegno – delle quali renderemo partecipi i nostri soci disseminati nelle varie contrade del nostro Paese – ci sono di stimolo a proseguire sulla strada appena iniziata.
Come Associazione intendiamo impegnarci nel tentare di reinterpretare la nostra funzione che – con il passare degli anni, a tanta distanza dagli eventi bellici che, in qualche modo, ci videro protagonisti nel dolore e nei sacrifici al servizio della Patria – non può esaurirsi soltanto nel tenere vivo il ricordo e nel richiamare la testimonianza, ma deve dare all’una e all’altro una connotazione nuova finalizzandone gli scopi alle richieste di una società che cambia rapidamente.
Per farlo, occorre incidere anche sul modo di sollecitare l’approccio delle giovani generazioni, non disdegnando di ricorrere al linguaggio di questa nostra epoca, che – forse anche erroneamente – consideriamo scarsamente sensibile, se non disincantata.
Si tratta di un’operazione culturale di enorme portata , sintetizzata in un intervento sulla forma di presentazione del messaggio, immutati restando sia il contenuto che i fini.
Nel caso in esame, l’innovazione proposta con l’iniziativa dell’ANRP tendeva a qualcosa di più, a contribuire, in qualche modo, ad avviare un processo di affermazione della “cultura della bandiera”; una bandiera da valorizzare, esponendola in ogni occasione, come espressione gioiosa dell’idea stessa di comunità. Con il dispiegamento abbiamo inteso sottolineare qualcosa di più, il legame tra il tempo e lo spazio secondo il quale dinamicamente tale comunità storicamente si realizza.
La presentazione dell’ANRP – al cui successo hanno contribuito in maniera determinante non poche Istituzioni e, fra queste, in primo luogo le Forze Armate ed i Corpi armati dello Stato – ha voluto essere un atto di “sfida”, la sfida per un rinnovamento degli organismi associativi, combattentistici e d’arma, per esaltarne il ruolo formativo anche e soprattutto nei confronti dei giovani.
Alcuni, come ho già accennato, hanno dubitato, all’inizio, che la nostra proposta potesse essere capita, pensando che l’”effimero” (ma era veramente tale e non già innovazione formale da valutare con attenzione?) non fosse pagante.
Ebbene, sono rimasti delusi. A dispetto di tutto e di tutti e… nonostante la pioggia, il successo è stato superiore ad ogni più rosea aspettativa.
La gente ha risposto con entusiasmo, accorrendo in gran numero lungo il percorso e sottolineando la sua approvazione in ogni possibile forma, con commenti – oltre tutto – così favorevoli quali non si sentivano da tempo per occasioni del genere.
Si è parlato di 30mila spettatori, attenti e partecipi, che hanno fatto da cornice ad uno spettacolo, anche bello a vedersi oltre che ricco dei tanti significati che ho sottolineato con queste mie note.
E’ stata – questa risposta corale della gente – la più convincente forma di approvazione dell’impegno delle migliaia di attori (circa 3mila), direttamente impegnati nel delicato compito di sorreggere, dispiegandola progressivamente, la bandiera più lunga del mondo.
E’ stata, al tempo stesso, il riconoscimento alla bontà dell’idea.
Per questo, un grazie di cuore va rivolto a quanti hanno avuto l’idea, l’hanno trasformata in progetto e, infine, l’hanno messa in atto.
Che il successo sia andato ben al di là di quanto immaginato, lo dimostra, altresì, l’eco che l’evento ha avuto attraverso i mezzi di comunicazione di massa. E non soltanto a livello nazionale: per darne un’idea basti pensare che la notizia è stata ripresa anche fuori dei confini nazionali ed in Paesi lontani.
Con linguaggio un po’ scanzonato possiamo affermare di aver fatto “centro”.
Assenze varie, peraltro giustificate, non hanno consentito a qualche esponente delle Istituzioni di “vivere dal vivo” l’evento unico di una celebrazione innovativa.
Vogliamo, però, riproporla per altre occasioni, prendendo spunto anche dall’approvazione del nostro Presidente della Repubblica, per perfezionare un’idea che riteniamo fondatamente possa essere portatrice di futuro.
La riproponiamo, in ogni caso, per una presentazione a qualche consistente comunità italiana all’estero, ai nostri emigrati già autorevolmente inseriti nelle varie realtà nazionali fuori dei confini d’Italia, che sentono struggente il bisogno di sottolineare, anche con il loro richiamo al Tricolore, la loro identità di origine.
Abbiamo pensato, ad esempio, all’inserimento della “bandiera più lunga del mondo” nel programma celebrativo per il “Columbus Day” a New York. Confidiamo che ci sia fornito il sostegno necessario perché il progetto possa essere tradotto in realtà.
Gli italiani all’estero lo meritano. Ce lo ha ricordato anche il Signor Presidente della Repubblica, richiamando ricordi significativi delle sue visite nei diversi continenti. Vivissimo è il loro desiderio di affermare, in ogni modo possibile, l’attaccamento alla terra di origine.
Pensiamo, Signor Presidente, ai due vecchi emigrati che, in una cerimonia ufficiale durante la Sua visita in Australia, sono rimasti impalati nella pesante uniforme dell’Arma dei Carabinieri, nella quale da giovani avevano prestato servizio, senza per nulla scomporsi benché grondanti di sudore per la temperatura piuttosto elevata.
Questo episodio, da Lei evocato, è la conferma più convincente di una “voglia d’Italia”, che – per chi ha dovuto lasciare il Paese di origine – si rafforza nel tempo.
A connazionali come questi vogliamo offrire l’occasione di vivere festosamente una bella giornata di “italianità”, non per dare un messaggio, bensì per riceverlo da loro e portarlo con noi in vista di un rinnovato impegno nella più aggiornata visione della nostra missione.
Umberto Cappuzzo