Attività gen - 26 - 2005

Quando si parla della Shoah, il pensiero corre subito alle sofferenze disumane che travolsero il popolo ebraico. Tuttavia alcuni, pur fiaccati nel corpo dalla schiavitù, riuscirono ad opporre resistenza e a rimanere liberi.
Un esempio singolare di questa forza interiore è dato dalle musiche e dai canti composti nei campi di concentramento da donne musiciste ebree e non ebree, un corpus musicale che venne a rappresentare nelle parole del compositore Viktor Ullman (Theresienstadt, Auschwitz) “una sorta di strenua resistenza spirituale”. Ed è a questo corpus musicale a cui attinge il programma del concerto proposto.
L’immediatezza delle melodie, spesso struggenti ninna nanne, l’efficace essenzialità delle parole e dei versi, tesi tra l’espressione dell’orrore e la necessità di credere in un futuro, rendono questi componimenti una testimonianza umana ed artistica di rara bellezza, vissuta attraverso il prisma della sensibilità femminile.
Oggi, questi canti in concerto, arte viva e comunicativa, rinnovano il messaggio di vita di queste artiste che, anche nella più profonda oscurità, hanno saputo creare suggestive melodie.
Charlette Shulamit Ottolenghi


DALLE PROFONDITA’:
CANTI DI DONNE NELLA SHOAH

26 gennaio 2005 – ore 21,00
Auditorium Piazza Adriana, 3 – Roma

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Un giorno solo per “ricordare” e per dare senso e spessore ad una ricorrenza istituita con legge dello Stato non basta, se non si accompagna ad un percorso di conoscenza che sappia mettere in gioco la ricerca storica e l’intelligenza emotiva.
La Fondazione Archivio Nazionale Ricordo e Progresso per superare la dimensione statica e sterile delle commemorazioni ufficiali propone, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, la creazione di “poli” quali punti permanenti di riferimento storico-culturale, con l’intento di coniugare il binomio “ Storia e Testimonianze” con Memoria e Teatro, Cinema, Letteratura, Musica e Arte Contemporanea. La forza evocativa di tali forme espressive
parla il linguaggio più immediato e più vicino al pubblico e costituisce un momento indispensabile per affrontare con consapevolezza il tema della “Memoria”.
Per l’anno 2005, il percorso si apre con il Concerto di Charlette Shulamit Ottolenghi “Dalle profondità, canti di donne nella Shoah”. L’opportunità di presentare a Roma, in occasione del “Giorno della Memoria”, questo evento artistico, storico e culturale, è stata accolta con entusiasmo ed interesse, dal momento che permette di approfondire il discorso sulla “Memoria” da un punto di vista femminile, in linea con molteplici iniziative che la Fondazione ha già realizzato. Questa volta sono in primo piano alcune donne musiciste che hanno creato durante la detenzione nei lager, canti di dolore e di speranza, composizioni dedicate non solo ai propri bambini e ai propri cari, ma anche a tutta l’umanità. Si tratta di una lezione di coraggio e di impegno politico, di un messaggio in grado di parlare direttamente, ancora oggi, a ciascun individuo.

Enzo Orlanducci
Segretario Generale ANRP


 

Da alcuni anni, il 27 Gennaio si celebra anche in Italia, come in molti altri paesi europei, il Giorno della Memoria. Ma non è la parata dei ricordi, non è la giornata del pianto per l’orrore che fu, non è la celebrazione di una delle tante date che la storia ha consegnato ai libri. No, è il Giorno giusto per chi desidera con tutto il cuore costruire un futuro migliore e più giusto. L’abbiamo chiamato “Giorno della Memoria”, ma è un giorno che vive, una memoria che spinge a vivere il domani, una memoria che dà forza e non malinconia, una memoria che ci impegna. Il recital di Charlette Shulamit Ottolenghi, dedicato ai canti di donne nella Shoah, rappresenta l’impegno attivo sul versante della conoscenza dei fatti, di quei fatti che ancora oggi non hanno trovato una risposta completa. Questa risposta io la trovo nella solidarietà e nel rispetto del diverso. Non si tratta di un concetto vago, ma risiede nel sentire fortemente il senso della giustizia per tutti, senza discriminazioni.

Leone Paserman
Presidente della Comunità Ebraica di Roma


 

La musica come forma di resistenza
I canti scelti da Charlette Shulamit Ottolenghi per il recital “Dalle Profondità – canti di donne nella Shoah”, sono stati composti in segreto, come forma di resistenza e di autoaffermazione, da musiciste ebree e non ebree internate nei campi di concentramento e di sterminio. Riguardo al loro stile si può parlare, sulla scia di Kurt Weill, di Gebrauchmusik, di profonde contaminazioni, di totale critica al sistema, di totale reazione anti-Wagner, di tragica disillusione di fronte agli orrori del nazionalsocialismo. In altri termini, quella che si era venuta a creare all’epoca, influenzata dai principi brechtiani del teatro politico e con spiccate tendenze politonali, era una specie di terza via della musica che si posizionava tra quella colta e quella popolare: la musica yiddish e klezmer, i ritmi balcanici e la musica prodotta dall’Europa espressionista si congiungevano all’America del jazz, tra Satie e Berg da una parte e Gershwin e Berlin dall’altra. Creatività, storia e identità ebraica confluirono all’interno di armonie dure, dissonanti; melodie struggenti, ma persino ammiccanti, per una musica dal forte impatto drammatico. Nei canti che le musiciste dedicarono ai propri figli, ma anche all’intera umanità, prese vita una forte dimensione onirica, una visione del futuro che lasciava spazio alla speranza e che faceva affermare ad Ilse Weber “Tutto andrà per il meglio / Sopporta con pazienza l’attesa / Abbi fiducia nel futuro / Non perdere il coraggio / Il mondo tornerà ad essere un giardino.” In questi, come in tutti gli altri versi, poesia e canto si univano riprendendo la tradizione del Lied, genere al quale dedicarono una parte consistente della propria produzione tutti i grandi compositori mitteleuropei, da Haydn a Mozart, a Beethoven, a Shubert, a Schumann, a Brahms, allo stesso Wagner, a Liszt e a Wolf. “Riportare la musica vicino agli uomini, strappandola all’estetismo da museo”, come commentava il musicologo Massimo Mila, rappresenta anche l’intento di Charlette Shulamit Ottolenghi, che attraverso la sua voce rende in maniera intensa e asciutta la dimensione di una circostanza rispetto alla quale la
realtà dei fatti oltrepassa quella di ogni possibile interpretazione. La sua è una appresentazione musicale della Shoah, della persecuzione nazifascista durante la seconda guerra mondiale e, in quanto tale, risulta intimamente connessa con la storia dell’intero popolo ebraico. Va precisato, in merito, che ricostruire le musiche della Shoah rappresenta un lavoro titanico: la ricerca etnomusicologica si indirizza anche verso l’esecuzione in contesti artistici delle melodie tratte dalla tradizione orale e, se i pionieri di questa ricerca sono certamente Ruth Rubin e Barbara Kirschenblatt-Gimblett, vannoperò segnalati i notevoli risultati artistici ottenuti nel passato più recente dai complessi statunitensi Brave Old World e Khevrisa, e dagli europei Budowitz e Di Naye Kapelye, dediti alla rivalutazione del repertorio musicale klezmer
europeo. Mentre un lavoro filologicamente impeccabile è quello che da 10 anni sta portando avanti Francesco Lotoro con la pubblicazione di Musica Judaica che è il più completo, sistematico e aggiornato ciclo discografico contenente l’intero corpus musicale composto dal 1933 al 1945, ad opera di musicisti imprigionati o deportati o uccisi o sopravvissuti, provenienti da qualsiasi contesto nazionale, sociale o religioso in tutti i Campi di prigionia, transito, concentramento e sterminio. E mentre la musicologa israeliana Gila Flam è riuscita a ricostruire il repertorio delle canzoni eseguite, riadattate e composte nel ghetto di Lodz durante l’occupazione nazista della Polonia, Gabrielle Knapp, terapeuta musicale, ci racconta come le canzoni e la musica abbiano rappresentato un aiuto vitale alle internate nel lager di Ravensbrück, unico campo nell’universo concentrazionario ad essere popolato da sole donne e bambini.
Proprio in questo campo la musicista Ludmila Pescarovà compose, nel 1944, la Canzoncina di Natale, un canto dedicato alla sorellina, attraverso il quale si manifesta tangibilmente la ferrea volontà di infondere coraggio e forza ad una povera bambina, cercando di trasfigurare la realtà di un Natale così terribile: “… il nostro sogno natalizio, così dolcemente variopinto, è che si abbrevino i tempi del disumano tormento!”

Francesca Pietracci


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