ANNO 2024

a cura di Francesca Berdini

Mediascape – Edizioni ANRP

Cairoli è uno dei tantissimi giovani, la maggioranza, che non sapeva­no perché l’Italia era in guerra, ma contavano sulla vittoria finale; in più, è per carattere portato a cogliere pregi e cose positive del mondo, non i difetti. Semplice ma di buone lettere, di famiglia operaia, Cairoli ama “tutto ciò che è bello, ordinato e pulito”. Quanto di più lontano dal clima di quei venti mesi di lager.

Nel diario, questo suo apparente “buonismo” è amplificato dalla scelta di scrivere solo ed esclusivamente per i genitori. La funzione te­rapeutica della scrittura rimane tale, ma opera una sorta di “rimozione preventiva” dovuta ai destinatari della sua scrittura. Ne deriva un diario decisamente atipico, fatto per almeno due terzi di “divagazioni” sul passato familiare e per un terzo di descrizione della realtà del lager, nella quale lo sforzo di non calcare la mano sulle sofferenze, non sem­pre riuscito, finisce con l’accentuarne, per contrasto, la drammaticità. Vediamo. L’8 settembre c’è “tanta confusione”: “giorni passati con l’animo sospeso o emozionati”. Separati dagli ufficiali, i soldati restano soli con un maresciallo e un sergente maggiore, in un clima idilliaco di solida­rietà: nessuno ruba, al massimo si discute solo di politica. Rispetto a quanto raccontano molti diari, c’è qui una probabile esagerazione, ma anche la constatazione che gli egoismi prevalgono tra ufficiali e dove il legame gerarchico non viene troncato alla radice (più avanti criticherà lo scarso senso del dovere degli ufficiali).

Dopo la cattura prevale la “tenebra più oscura”, che si infittisce nella dura corvè quotidiana: “le ore di lavoro e maltrattamento”, affrontate – dice Cairoli – con “mansuetudine”. Colpisce l’uso di questo termine, più animalesco che umano, che conia una originale forma di sopporta­zione inevitabile e rassegnata: “internati sottomessi come può esserlo un bue al giogo”. È immaginabile che Primo Levi avrebbe ascritto que­sto annullamento senza sottomissione come a un altro degli esiti diabo­lici del nazismo…