ANNO 2011, In primo piano

A cura di Alfonso Gambacurta ed Enzo Orlanducci
Edizioni Mediascape

Il presente testo vuole essere un suporto a quanti intendono avere una visione generale complessiva sul fenomeno mafioso, sulle sue origini, sui rapporti con lo Stato, sugli strumenti di repressione e lotta studiati per arginare il fenomeno criminale. Le ricerche che troviamo nelle pagine di questo volume vanno lette e contestualizzate in due differenti momenti: l’analisi sulla città di Gela e la sua ristrutturazione simbolica-amministrativa che si sviluppa negli anni a cavallo tra il 2003 e il 2009, mentre l’analisi sui beni confiscati alle mafie nella città di Roma e il loro riutilizzo sociale va inquadrato nell’estate del 2010, periodo di cui è evidenziata nel testo anche la ricca normativa di riferimento.
Da oltre 150 anni, da quando cioè si è cominciato a formare lo Stato italiano, si discute di mafia e sulle ripercussioni che la sua presenza ha sull’economia e la società siciliana e non solo. L’eccessiva violenza mafiosa delle stragi dei primi anni novanta ha suscitato una generalizzata riprovazione sociale e un nuovo protagonismo della società civile contro la mafia. Con la globalizzazione la mafia compie un altro salto di qualità, collegandosi alle altre organizzazioni criminali nazionali e internazionali, in quella che Castells (2004) chiama la connessione perversa, evidente ad esempio nella produzione, raffinazione e vendita della droga.
I due autori, entrambi di origine siciliana, utilizzano ciascuno gli strumenti culturali che meglio conoscono: Alfonso Gambacurta la ricerca sociologica, Enzo Orlanducci quella tecnico-giuridica. Il primo ci presenta il caso del comune di Gela, emblematico fenomeno di trasformazione politico-amministrativa grazie al sindaco Crocetta, non solo riportando i provvedimenti amministrativi contro la mafia, ma guardando, tramite l’osservazione sul campo, alle trasformazioni che questi provocano sulla società civile.
Orlanducci invece svolge un’analisi delle potenzialità della legge sull’utilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie e dimostra che tale utilizzo è stato scandalosamente inefficiente nella realtà territoriale romana.