Martedì 17 giugno 2008 ore 17.00
Auditorium – Piazza Adriana, 3 – Roma
presentazione del volume
Solarino: 12 luglio 1943
UN UOMO, UN EROE
Domenico (Mimì) Cavaiola
PRESENTAZIONE
Ci siamo accostati con una certa curiosità al libro di Pietro Corsi in quanto, sin dalle prime pagine, è apparso singolare nel suo genere, rispetto a tante altre nostre pubblicazioni.
Non un memoriale autobiografico scritto “a posteriori”, non un diario scritto in tempo reale, non un romanzo, non un saggio di storia. Eppure le pagine di questo libro sono un po’ tutto questo. Come in un grande, prezioso contenitore, l’autore, con spiccata sensibilità e con indubbia duttilità stilistica, è riuscito a creare un legame tra diversi contenuti e tra i più svariati registri linguistici, smussandone i dislivelli e amalgamandoli in un unico percorso narrativo. Da Casacalenda nel Molise, a Solarino sulle coste della Sicilia Orientale, fino a Malibu in California, sullo sfondo di paesaggi e luoghi di cui, con un abile tratteggio descrittivo, è ricostruita l’atmosfera, si inseriscono, in una ben miscelata alternanza, sia il racconto autobiografico di Mimì Cavaiola, sia la ricostruzione cronologica dei fatti e delle operazioni belliche, di taglio decisamente storiografico, sia le interviste e le testimonianze.
La necessità di capire meglio i fatti e le cause che determinarono certi passaggi della straordinaria storia di Mimì, spinge l’autore a inquadrare la vicenda individuale, oggetto del suo interesse, fissando dei punti di riferimento a livello storico, per creare una sorta di piattaforma di base da cui partire, per inserirvi, al punto giusto, fatti, personaggi e situazioni.
Ponendosi come osservatore esterno, anche se inevitabilmente e affettuosamente coinvolto, Corsi cerca di guardare alla vicende di Cavaiola con occhio oggettivo e tale suo atteggiamento, seppur smentito in certi momenti da ricercatezze letterarie e da un tono vagamente aulico della narrazione, convalida la credibilità della sua indagine. Quest’ultima si basa tanto sul recupero di un memoriale scritto “a posteriori” dallo stesso Domenico Cavaiola e di cui sono riportati fedelmente nel libro interi passi, sia su testimonianze acquisite con una approfondita ricerca. L’intervista al fratello di Mimì, raggiunto da Pietro Corsi in California, non lascia dubbi sulla veridicità dei ricordi e sulla fondatezza dell’accaduto e trae conferma da quella fatta all’altro eroe, Leo Lavecchia, quel soldato che, obbedendo ad un naturale senso del dovere, in un limpido slancio di solidarietà umana, in un momento critico, quando avrebbe potuto salvarsi con la fuga, non se la sentì di abbandonare il suo capitano, gravemente ferito e ormai senza una gamba, e fece la sua scelta, rimanendo lì con lui, sul campo di battaglia, pur conoscendo quali avrebbero potuto essere le drammatiche conseguenze.
Il libro, pertanto, è dedicato anche a quell’uomo, un eroe semplice e discreto che non ha ricevuto nessuna medaglia ed è sempre rimasto nell’ombra e nel silenzio.
Ci sembra giusto ricordare con questa pubblicazione la vicenda di Domenico Cavaiola, Medaglia d’argento al V.M. , la straordinaria capacità con cui ha affrontato il pericolo, il suo senso del dovere e dell’amor di patria, un uomo che difende a tutti i costi il suo onore di combattente e pensa a proteggere l’incolumità dei suoi uomini. Ma vogliamo anche ricordare tutti quelli che, come quel semplice soldato, hanno combattuto con coerenza e generosità la loro battaglia, rivelando in certi momenti critici doti straordinarie, inaspettate.
L’ANRP, attenta a che non vada perduto il patrimonio di valori di cui tante esperienze umane, vissute e sofferte nel secondo conflitto mondiale, si fanno portatrici, ha voluto pubblicare anche questa storia, un piccolo affresco epocale di guerra e di pace, di persone e di personaggi. Storie di uomini “normali”, che improvvisamente, per una qualche scintilla del destino, diventano eroi, per aver tirato fuori capacità insospettabili di resistenza alla fatica, al dolore, alla tragedia.
Uomini che anche un libro come questo di Pietro Corsi ci ha dato l’opportunità di conoscere. L’opera è preceduta da una commossa e affettuosa prefazione di Michele Montagano ed è corredata da una serie di fotografie attraverso le quali si dà un volto ai protagonisti della storia. Sono stati inseriti nel volume anche lettere e documenti d’archivio.
Enzo Orlanducci
Segretario Generale ANRP
PREFAZIONE
Sono grato e riconoscente a Stefania Cavaiola che ha voluto ch’io scrivessi la prefazione del libro che richiama le virtù civili e militari di suo padre non perché io abbia attribuzioni professionali che mi diano l’autorevolezza di un letterato a presentare degnamente il lavoro di uno scrittore del peso di Pietro Corsi, ma per l’affetto e la stima che mi ha unito a Mimì sin dalla nostra fanciullezza, negli anni venti e trenta del secolo scorso.
Ho trovato molto interessante e istruttivo questo nuovo lavoro di Pietro tanto che ne raccomando la lettura, particolarmente ai giovani perché possano comprendere quali e quanti sacrifici hanno dovuto affrontare quei giovani di allora, combattenti della seconda guerra mondiale, senz’altro interesse che il dovere verso la patria e la difesa dell’onore e della dignità della persona umana.
Desidero renderVi partecipi di alcune considerazioni e riflessioni su questo libro che mi ha fatto conoscere, per la prima volta, le tristi vicende subìte da Mimì che io ignoravo per la nostra forzata lontananza nei differenti fronti di guerra.
Anzi debbo rivelare che, a causa del suo intimo pudore, noi a Casacalenda, dietro mia sollecitazione ed insistenza, siamo venuti a conoscenza della concessione dellaMedaglia d’Argento al V.M. e della stupenda motivazione solamente in occasione della celebrazione del 4 novembre 1998.
Anzitutto debbo dare atto, con vivo piacere, che la prosa di Pietro è limpida e spontanea e quindi ha un requisito fondamentale: la chiarezza e la semplicità.
Ha messo in luce, con una ricostruzione precisa e meticolosa, il giovane studente che si affaccia, con allegria, alla vita, e il valoroso ufficiale ferito, mutilato, prigioniero durante la difesa del suolo della patria, a Solarino, in Sicilia, durante l’invasione delle truppe Alleate, nel luglio del 1943.
Debbo, inoltre, confessare, con tutta sincerità, che sono stato invaso da un sentimento di orgoglio nazionale nel seguire con attenzione la descrizione della battaglia di Solarino, perché in questa zona il soldato italiano, mal ridotto e senza aiuti ha sostenuto aspri combattimenti contro l’esercito invasore; ha pagato col sangue la sua estrema difesa del suolo italiano ed ha riscattato, nel suo piccolo, la mancanza di volontà degli Italiani di continuare a combattere per le precarie condizioni cui era ridotto l’esercito, dissanguato su troppi fronti di guerra e per lo stato d’animo della popolazione civile, sottoposta a duri bombardamenti Alleati e allo stremo di risorse economiche.
Il soldato al fronte, anche a Solarino, ha invece sentito radicato il convincimento che battersi per la propria terra rientrava nei suoi compiti di cittadino italiano, perché “sul ciglio di una trincea non esiste retorica, ma soltanto l’obbligo naturale di non cedere al nemico”.
E noi oggi sappiamo dalle relazioni del G.M., del col. Ronco, dalla testimonianza di Leo Lavecchia e dalla ricostruzione storica del giornalista Sudano che nelle retrovie di Siracusa, dal 9 al 13 luglio ‘43, avvennero aspri e sanguinosi combattimenti tra italiani difensori e alleati assalitori, prova ne sia che la Bandiera di guerra del 72° reggimento di Fanteria è stata decorata di Medaglia d’Argento al V.M., e che sono state concesse 1 medaglia d’oro, 10 medaglie d’argento, 17 di bronzo e 8 encomi solenni.
Mi piace ora soffermarmi sul concetto di eroe.
Da quando l’Italia è impegnata, con truppe volontarie e professionali, per conto delle N.U., alla sorveglianza dei territori soggetti a guerre e lotte intestine, ogni qual volta un gruppo o singoli militari cadono durante il servizio si scatena un’orgia straripante di retorica nazionalistica che innalza tutti al livello di eroe.
Il fatto di onorarli, di manifestare collettivamente l’affetto e il ringraziamento della nazione nei loro confronti è la dimostrazione che la Patria è viva, che è stato riscoperto il senso della Patria. Ma l’ammirazione e il dolore che tutti sentiamo per il soldato che muore in servizio non possiamo collegarlo all’eroismo.
Eroe e eroismo sono concetti ben più alti e nobili da non poter essere riferiti alla semplice morte durante la guerra. È giusto invece che in considerazione che il soldato lotta e muore per il bene dell’Italia, noi lo esaltiamo come “Caduto per la Patria”.
La definizione di Eroe va applicata, con sorvegliato spirito di limitazione, a chi sa lottare, con eccezionale coraggio e generosità, sino al cosciente sacrificio di sé, per una ragione o un ideale ritenuti validi e giusti. In guerra è eroe il normale soldato che compie un atto eccezionale al di sopra del dovere normalmente richiesto.
Mimì, che ferito rifiuta di lasciare il posto di comando, che colpito una seconda volta all’altra gamba, con raro stoicismo, taglia egli stesso il troncone sanguinante e rimane tra i suoi soldati sino a quando, sopraffatto, viene catturato prigioniero, ha sacrificato, per tutta la sua vita, una parte del suo corpo, Mimì è un eroe.
Con la sua abnegazione Leo Lavecchia è la conferma che quando una scintilla divina illumina la mente dell’uomo e viene represso l’umanissimo istinto di conservazione, trionfa la virtù sublime dell’altruismo. “Avrei potuto abbandonare il tenente Cavaiola e salvarmi dai tre anni di prigionia, scappare come tutti, ma non l’ho fatto. Non ho avuto il coraggio di abbandonare il mio tenente, e non me ne sono mai pentito”. Lavecchia, l’altro eroe di Solarino, è l’eroe senza medaglia ma testimone di cristiano amore e di alto senso di altruismo.
Prima di chiudere, a dimostrazione del giudizio equilibrato e maturo di Mimì su avvenimenti che hanno diviso e straziato le coscienze della nostra difficile generazione, mi sia concesso di citare alcune frasi che egli scrisse il 10 febbraio 1997 meravigliato e sorpreso che una rivista “nera” citasse il mio nome in relazione alla prigionia nei lager nazisti. “Noi due, in campi opposti, completamente diversi, siamo stati eguali; ambedue non collaboratori con alleati/nemici, ai quali abbiamo dato una prova di dignità con coraggio, sprezzo del pericolo e della vita; VINTI MA NON DOMI. La nostra è stata una battaglia e una resistenza diversa da quella combattuta nell’Italia del Nord. E, come noi due, tanti altri soldati in condizioni vissute esemplarmente senza speculazione ma solamente per esaltare l’onore militare e la dignità dell’uomo”.
Concludo, e per rendere ancora più esaltanti gli eroismi di Mimì e di Lavecchia, prendo a prestito da Gianfranco Ravasi un “mattutino” dell’Avvenire, il quotidiano della CEI: “Abnegazione è una parola non molto declinata ai nostri giorni in cui si vuole essere comodi, avere tutto facilmente, senza sforzo e senza impegno.
L’egoismo sembra il vessillo che si inalbera sulla vita, sulla casa, sulla società.
Parlare di dedizione, di sacrificio, di rinunzia, di generosità sembra ‘passatista’.
Ed è invece solo da questo atteggiamento che cresce e fiorisce l’amore e, alla fine, la serenità interiore e il significato profondo di una esistenza”.
Michele Montagano
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