Le porte della Memoria

2022
supplemento a “Liberi”

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Prefazione

Enrico Zampetti è stato uno degli Internati Militari Italiani più emblematici. Può essere giunto tardi all’appuntamento con la testimonianza, dal momento che le sue esperienze di guerra e la lunga deportazione in Germania, magistralmente ricostruite nelle note diaristiche redatte durante la prigionia, furono pubblicate postume, solo nel 1992. Ma quel testo rappresenta in tutta la sua oggettività uno dei punti di riferimento più autorevoli per la storia stessa della Resistenza non armata degli IMI.
Per ricordarne la figura e l’opera, l’Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia, dall’Internamento, dalla Guerra di Liberazione e loro Familiari, in collaborazione con il Senato della Repubblica, ha organizzato il 29 novembre 2021, nella splendida cornice della Sala Capitolare di Palazzo della Minerva, un convegno intitolato “Il mio zaino sulle spalle, il tuo amore, la nostra fede. Enrico Zampetti e il lager a cento anni dalla nascita”, che ha visto la significativa presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e l’intervento, tra gli altri illustri ospiti, della Presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati.

Nicola Mattoscio


Il volume che viene adesso pubblicato contiene per intero gli interventi presentati in quell’occasione che, non per caso, avevano cercato di abbracciare tutti gli ambiti in cui l’impegno militare, di resistente, civile e professionale di Zampetti sono stati particolarmente significativi ed importanti sul piano etico, politico e istituzionale.
Anche se la sua testimonianza per la comprensione della storia della Resistenza degli Internati Militari Italiani resta di straordinaria importanza, i terreni su cui il suo impegno ha lasciato un’eredità profonda sono stati in realtà anche altri e tutti riflettono quella tragica esperienza, con il suo patrimonio di valori irrinunciabili che lo accompagnarono per tutta la vita.
La vicenda di resistente, del resto, è davvero esemplare: partecipa al dramma della Divisione Aqui a Corfù prima di essere catturato e subire la deportazione. Resiste rifiutando di tornare in Italia a combattere nella Repubblica Sociale Italiana, da internato in Polonia, a Deblin Irena e Duisdorf. E poi resiste ancora a Colonia, dopo l’ennesimo diniego alla collaborazione, quando la chiamata al lavoro era ormai diventata obbligatoria anche per gli ufficiali. Infine resiste a Wietzendorf, suo ultimo Lager da cui viene liberato il 22 aprile 1945.
Altrettanto emblematica, dopo la guerra, è la carriera di funzionario di Stato, preceduta dal suo significativo contributo ai lavori della Costituente, come assistente del gruppo parlamentare della Democrazia Cristiana: all’impegno sul terreno dello studio, della catalogazione e dell’innovazione per la Biblioteca del Senato, accompagna la precocissima intuizione sulla necessità dell’ammodernamento della macchina dello Stato attraverso gli strumenti dell’automazione. Seguono, sempre in Senato, la collaborazione con il Servizio Studi fino alla creazione dell’Ufficio Stampa e il suo ritorno alla Biblioteca di cui diviene Direttore, nel 1975, avvicendando Vittorio Emanuele Giuntella che, per sorte o per destino, era stato suo compagno di prigionia, nonché come membro del giovanile circolo romano della FUCI, in quegli anni con l’imprinting della presidenza nazionale prima di Aldo Moro e poi di Giulio Andreotti.
Nel suo orribile peregrinare da IMI, Enrico Zampetti ha conservato nel suo metaforico zaino, lo ha sottolineato la Presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, due riserve vitali, che gli consentirono la sopravvivenza nell’inferno della deportazione e detenzione nei lager nazisti: la fede cristiana e l’amore verso la compagna di vita, Marisa. Imperterrito, con la stessa immutabile costanza, si è accinto alla vita civile nel dopoguerra, raccomandandosi sempre: “Signore conservaci la coerenza anche quando non saremo più martiri per forza”, come si legge nel suo diario.
Spesso si dice che il racconto e il ricordo di fatti storici servono a ridimensionare o a tacitare le tesi di chi vorrebbe proprio ridimensionarli e tacitarli, contribuendo ad impedire che gli stessi avvenimenti spaventosi si ripetano, o almeno ad ammonire sul rischio che si possano acriticamente ripetere. Al riguardo, il diario di Enrico Zampetti è prezioso come testimonianza storica precisa, minuziosa, spontanea e appassionata. Le sue parole sono pietre miliari nel percorso che seguiamo in genere allo scopo, soprattutto, di voler sapere di noi. Nel caso, al fine di conoscere in che modo una parte del nostro popolo, i militari, nella fattispecie, reagirono alla deportazione: di come, requisiti di tutto, mortificati in ogni dignità di uomini, consegnati ai propri persecutori, seppero opporre con coraggio e nobilità morale il proprio rifiuto.
Nel dopoguerra Zampetti si è fatto carico di aiutare a far luce su questa vicenda, scansando la rimozione e la derubricazione ad enorme e quasi inevitabile “guaio” della guerra.
Ebbene, nel campo concettuale in cui si inscrive la riflessione gobettiana sul fascismo come autobiografia della nazione, o nell’ambito della sua stessa controparte critica, se vogliamo, si colloca il diario di Enrico Zampetti. Al fallimento dello stato unitario e delle classi dirigenti liberali e alle gravi manchevolezze nel costume politico e civile degli italiani franato nella imperdonabile esperienza fascista, fanno da contraltare la forza e la dignità di un uomo, che ci parla di sé come un altro “idealtipo” del “carattere nazionale”, attraverso l’estrema vicenda degli Internati Militari. L’antropologia positiva degli italiani testimoniata dal contegno del rifiuto ci appare oggi, ancora più di allora, sintomatica di un’adesione alla causa nazionale davvero straordinaria, nel più ampio contesto della lotta di Liberazione e per la riconquista di un posto nella comunità internazionale, scevro da ogni sospetto o pregiudizio sulla sua reale fede democratica, solidale e per la pace.
La lezione di Enrico Zampetti sta, dunque, anche a rispondere a tutta una serie di fin troppo semplificanti topos negativi, ricordandoci che l’anti nazione non ha avuto la meglio, che l’8 settembre non è stata la morte della patria, e meno che mai della nazione, che i militari italiani risposero all’appello della stessa patria da ricostruire, ma democratica e avulsa da ogni retorica nazionalista, nell’ora più difficile e per quasi due anni ininterrottamente senza cedimenti.
L’afflato etico e religioso, l’impegno della migliore tradizione di Grand commis de l’État, ce lo fanno ricordare in occasione dei cento anni dalla nascita per aver saputo contribuire a sedimentare nelle fibra della nazione e delle sue più alte istituzioni non solo un’identità civile di sincera appartenenza ad un unico destino dell’intera umanità, ma una genuina passione per la libertà delle persone sempre al servizio di ogni comunità di uomini altrettanto liberi.


2013
supplemento a “rassegna”
a cura di ENZO ORLANDUCCI

Le porte della memoria F Le porte della memoria R

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Presentazione

Il titolo le porte della memoria, definito nel primo numero “sollecitante e provocatorio”, era un implicito invito a tutti coloro che avessero voluto collaborare con spirito costruttivo, offrendo il proprio contributo culturale per ricostruire il passato, dare senso al presente e progettare il futuro.
L’appello era rivolto soprattutto ai giovani ricercatori che più volte hanno dimostrato la volontà di approfondire le drammatiche vicende vissute dalla “generazione della guerra”, della lotta per la libertà e la democrazia, raccogliendone i valori profondi trasmessi nel passaggio generazionale.
Valori di cui l’ANRP si è sempre fatta portavoce e nei quali continuerà a credere. La risposta c’è stata e ci ha confortato. Pertanto, abbiamo scelto di affidare la presentazione di questo nuovo numero proprio a un giovane ricercatore, Alfonso Gambacurta e la chiusura a due giovani studiose, Silvia Nicolardi e Diana Kadrinova. Un’idea per i prossimi numeri: proseguire su questa linea, con l’auspicio che tanti altri giovani, motivati come loro, accolgano con lo stesso entusiasmo la nostra sollecitazione e facciano della ANRP una scuola di pensiero oltre che di formazione.

Enzo Orlanducci


Le porte della memoria RContinua l’esperienza certamente positiva de le porte della memoria, che vede in questo numero rinnovarsi il suo intento di approfondimento scientifico su testimonianze, storia, cultura e idee.
Il periodico già dal titolo indica la volontà dell’ANRP di guardare avanti, di protendere al futuro offrendo sempre significativi stimoli, senza perdere di vista la “memoria”, radice culturale e, nel caso dell’Italia, anche sociale, politica e istituzionale del nostro farsi moderna democrazia occidentale.
L’Italia del 25 aprile 1945 era definitivamente libera. Ma per arrivare alla Liberazione e a quella che fu la fine della Guerra di Liberazione, con la definitiva sconfitta dei regimi nazifascisti e con la capitolazione della Germania hitleriana e della Repubblica Sociale Italiana, bisogna analizzare il travaglio della Resistenza, della lotta partigiana, dei combattenti la stessa Guerra di Liberazione, inquadrati nei reparti regolari delle FF.AA., il coraggio degli Internati Militari Italiani nei lager nazisti e l’impegno dei cooperatori degli Alleati. A molti, purtroppo ancora oggi, tutto questo non è noto, in particolare l’eroismo dei tantissimi soldati che mai vollero aderire alla Repubblica di Salò e che, da internati militari nei lager del Terzo Reich, pagarono al nazifascismo per la libertà dell’Italia un prezzo altissimo: centinaia di migliaia i soldati destinati al lavoro coatto, 40.000 i militari che persero la vita dopo l’8 settembre 1943, 1.007.000 i disarmati dalle truppe tedesche.
La Guerra di Liberazione contro il nazismo e il fascismo non fu solo una guerra patriottica, bensì anche moto di riscossa sociale, aspirazione a realizzare un nuovo assetto della società italiana; il primo impulso di libertà, il primo diniego al fascismo fu dato proprio dagli IMI. Giovani che si erano formati ed erano cresciuti sotto il regime, profondamente indottrinati, riuscirono a superare il concetto di Stato fascista per far emergere, forse per la prima volta dopo decenni, quello di Libertà. Questi uomini, sia durante lo sbandamento dell’Esercito a seguito dell’8 settembre, sia poi ripetutamente nei campi di concentramento nazisti, furono posti di fronte all’alternativa di poter scegliere la libertà aderendo alla Repubblica fascista di Salò, che collaborava col nazismo. In condizioni inumane, vicini allo sfinimento e alla morte, essi, durante le ripetute visite delle commissioni repubblichine nei lager, decisero con fermezza di scegliere la libertà contro la tirannide del progetto nazi-fascista. Nasce qui un’idea che, ancor prima della Costituente, pone le basi al nostro concetto di democrazia. Gli uomini aderiscono a delle comunità stipulando tra loro un patto sociale di convivenza civile e regole condivise. Quei militari decisero allora che il patto sociale fondativo della nuova Italia dovesse nascere sulla resistenza etica, morale e fisica da contrapporre alla “finta libertà” offerta da Mussolini. Questi uomini, coloro che in quei campi morirono, coloro che sopravvissero e coloro che ancora sono tra noi, sono da considerare protagonisti fondativi, che, prima ancora di chi con coraggio combatteva il nazifascismo nel territorio nazionale, prima ancora dei nostri padri costituenti, diedero la base ideale a quell’Italia che come una fenice sarebbe risorta dalle ceneri della guerra. Il loro sacrificio va ancor più sottolineato perché essi sono sconosciuti a molti, non sono menzionati nei libri di storia, non conosciamo i loro nomi, ma a loro dobbiamo le radici stesse della nostra libertà attuale. I nostri sodati, internati nei lager, seppero dimostrare che il cittadino e soprattutto il militare mai devono servire l’uomo di governo del momento, ma devono sempre seguire l’interesse supremo dello Stato e della popolazione. Questi uomini, traditi e disprezzati, separati dalla Patria, senza alcun conforto e difesa che non quella della propria coscienza, dettero prova di vero coraggio ed alta moralità, resistendo alle lusinghe e alle promesse dei regimi. Fu un atto volontario e consapevole, che molti di loro, circa 40.000, pagarono con la vita. «I comandi tedeschi, e sempre con maggior insistenza i comandi fascisti che venivano dall’Italia a sollecitare, a minacciare nei nostri lager, offrivano la libertà in cambio di una firma, ma incontrarono quasi sempre un deciso rifiuto. La percentuale delle loro adesioni fu modesta, non solo tra gli ufficiali, ma soprattutto tra i soldati, i quali spesso erano costretti a lavorare in miniere, in fabbriche, in ferrovie, in zone continuamente colpite dai bombardamenti vivendo in condizioni molto peggiori di quelle degli schiavi dell’antichità. Il “No!”, che rifiutava la firma e respingeva l’offerta di una libertà condizionata, fu la prima manifestazione politica dei militari italiani. Si trattava di seicentomila uomini, separati nei lager, spesso tra loro molto lontani, che coralmente risposero “No!” alle pressioni naziste e fasciste, in un plebiscito di condanna alla dittatura politica da cui era derivata la guerra. Se si eccettua una modesta percentuale di militari che già avevano un complessivo orientamento politico, la maggioranza degli internati, almeno nel primo tempo della deportazione, non aveva idee chiare sulle strutture politiche da preferire quando la propria Patria fosse tornata in libertà. Dominava soprattutto la volontà di essere liberi nelle proprie scelte, di sottrarsi ad ogni struttura gregale, di pensare con la propria testa. Rinasceva l’uomo e ne era espressione quel “No!” che creava una prima linea politica». Quegli uomini costruirono su quel rifiuto la loro libertà, ma gli anni a venire per loro sarebbero stati certamente condizionati dal ricordo delle pene sofferte e della tragedia vissuta sulla propria pelle. Ecco perché è importante parlarne, perché riafferma e rafforza quello stesso patto sociale che gli Internati Militari Italiani fecero. È importante per me, ricercatore sociale nato nel 1978; è importante per chi è nato oggi e per chi nascerà in futuro in Italia, affinché qui possa essere sempre garantito il principio democratico. In un Paese senza Governo, o con molti aspiranti governi, come quello di Badoglio e del Re, quello del Comitato Nazionale di Liberazione, quello della Repubblica sociale italiana, quello del Comando Alleato e quello di Parri e Longo del Comitato di Liberazione Alta Italia, questi soldati ascoltarono dal profondo delle loro coscienze l’unico ordine possibile, il più giusto: quello del Popolo italiano e dell’ideale superiore della Patria. Un Popolo che aveva visto con i suoi occhi le leggi razziali, i soprusi del regime e, come sottolineato da Roberto Colella, i tanti campi di concentramento sparsi soprattutto nel Centro-Sud del Paese, nonché il Passaggio del Fronte, cioè il biennio fatale 1943-45 come analizzato dal fondatore della Nuova Scuola Fiorentina della Comunicazione Giovanni Bechelloni, professore emerito all’Università degli Studi di Firenze. Specifica nel suo lavoro Barbara Bechelloni che in loro è per sempre impressa la fotografia di una memoria collettiva. Come ci spiega Enrico Meloni, è presente nei figli e nelle generazioni future dei prigionieri dei lager nazisti una “trasmissione transgenerazionale del rimorso, ovvero l’eredità dell’inconscio dei genitori che viene assorbita dai figli”. Il peso di quella guerra, di quelle tragedie personali e collettive non è solo legato al passato, ma fa parte del nostro vivere quotidiano, influenza le nostre azioni e ci guida verso gesti oltremodo inspiegabili. Solo tenendo aperta la memoria, custodendo il suo caveau con la massima sicurezza e cura, senza relegarla nell’oblio forzato possiamo sopravvivere al futuro e costruire un futuro migliore. La tentazione dell’oblio, insieme con la falsa quiete del silenzio, va fronteggiata con chiarezza e denunciata per quello che è: un’illusoria scorciatoia per non risolvere nulla. Accelera solo la marcia verso nuovi disastri. Molto è ancora da studiare, da approfondire su queste pagine di storia, per riflettere e per conoscere. Lo stesso bisogno di conoscenza che troviamo nel lavoro di Nicola Palombaro, nel saggio di Annamaria Amitrano, ordinario di discipline demoetnoantropologiche presso l’Università di Palermo, sulla morte e sulla memoria dei vivi, nelle considerazioni sull’iniqua ricchezza e il vincolo di solidarietà di Vincenzo Porcasi, docente di economia e strategia internazionale per lo sviluppo economico, o sulla riflessione di Francesca Pietracci, giornalista e critica d’arte, su Kefalonia Peace Island/Testimonials 2003. Queste di oggi sono quindi delle porte aperte in particolare ai giovani, per dare loro il diritto di sapere e la possibilità di costruire un futuro certo, basato sulla consapevole conoscenza del passato. Come ci ricorda il sociologo Franco Ferrarotti “siamo soltanto ciò che siamo stati. Più precisamente: ciò che ricordiamo di essere stati. Siamo memorie personificate”. Ed è proprio su queste memorie che abbiamo il compito di lavorare. Un legame tra le nuove generazioni e gli uomini dell’ANRP, il mondo scientifico e della ricerca, della storia e della geopolitica: questo è il compito che le porte della memoria ha fatto suo. Legami e collegamenti, anche internazionali, come il saggio di Giovanni Cerchia che è lo sviluppo di un intervento tenuto a Katowice, in Polonia, nell’ambito di una iniziativa della locale Sezione della Società Dante Alighieri, e quelli di Silvia Nicolardi e Diana Kadrinova nella rubrica scenari, regioni e quadranti. La fiducia nei giovani è componente essenziale dell’ANRP e della omonima Fondazione. I giovani sono per natura portati a guardare avanti, ad avanzare veloci, seguendo il proprio istinto. Ciò è essenziale per una società che voglia innovarsi, che voglia crescere senza contorcersi sul suo passato ma che non viva senza una memoria sociale certa e condivisa, perché la memoria, ogni memoria, reca in sé il rischio della dimenticanza.

Alfonso Gambacurta

2008
supplemento a “rassegna”
a cura di ENZO ORLANDUCCI

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Presentazione

Con le porte della memoria, titolo sintetico, sollecitante, provocatorio che, meglio di altri, coglie l’essenza di quanto si vuole realizzare con questo trimestrale, si dà inizio ad una nuova collana di pubblicazioni, promosse dall’ANRP, che vanno ad affiancare “Studi, documentazione e ricerca” (1963) e “Quaderni” (1985).
Un periodico di approfondimenti (testimonianze, storia, cultura, idee) edito – in attesa di dar vita ad una testata nuova ed autonoma – quale supplemento di rassegna, mensile socio-culturale dell’ANRP, la cui attuale serie, nata nel 1979, compie ben 30 anni.

porte_memoria_2_120Nel quadro più ampio delle manifestazioni in occasione del 60° anniversario della costituzione dell’Associazione (1948-2008), si è pensato con le porte della memoria di arricchire il patrimonio editoriale di ampia divulgazione con un “contenitore” in grado di accogliere argomentazioni, saggi e approfondimenti su problematiche storico sociali, esperienze e attività di ricerca, studio e testimonianza.
Oggi, ancor più che in passato, “fare cultura” significa offrire dei punti di riferimento per trasmettere la memoria storica, aprendo un dialogo sull’esperienza culturale, reale e umana, affrontando problematiche vive, certezze e incertezze di un’epoca che sempre più necessita di “testimoni”.

Storia e memoria. Passato, presente e futuro. Quale equilibrata posizione assumere di fronte alle sollecitazioni e al pragmatismo del modo contemporaneo? “Non ha futuro una società senza memoria”. Le parole pronunciate da Benedetto XVI durante l’udienza ai membri del Pontificio Comitato di scienze storiche ci vengono in aiuto, ne cogliamo la profonda essenza e le facciamo nostre, attribuendo loro un significato in senso lato. A proposito della crisi della storiografia, “in una società plasmata dal positivismo e dal materialismo”, ideologie che hanno indotto la società “ad
uno sfrenato entusiasmo per il progresso
[…] animato da spettacolari scoperte e successi tecnici, malgrado le disastrose esperienze del secolo scorso” di fronte ad un passato che appare “come uno sfondo buio” rispetto ad un presente e ad un futuro che “risplendono con ammiccanti
promesse
”, si rischia di produrre una società che “dimentica del proprio passato e quindi sprovvista di criteri acquisiti attraverso l’esperienza, non è più in grado di progettare un’armonica convivenza e un comune impegno nella realizzazione di obiettivi futuri…”. Una società, quindi, vulnerabile, che rischia di essere manipolata ideologicamente. Un’affermazione, questa, propria non solo del mondo cattolico, ma anche del mondo politico laico.
Per dirla con le parole di una nostra amica, la senatrice Lidia Brisca Menapace, interrompere la memoria e la sua trasmissione serve per produrre un “Alzheimer organizzato”.
E un popolo senza memoria può essere “portato in qua e in là”.
È instancabile il lavoro dell’ANRP, continuamente volto a ricostruire il passato per dare un senso al presente e progettare il futuro. In tale ottica l’ANRP, attraverso la collaborazione con l’università, gli istituti di ricerca e gli associati, porta avanti un ricco programma di studi, al fine di raccogliere, organizzare e conservare documenti e testimonianze, per divulgare il materiale reperito e far conoscere, per quanto possibile e pur con mezzi limitati, in particolare le vicende dei militari italiani nel secondo conflitto mondiale.
Forte dell’esperienza dei Veterani e dei loro familiari, aderenti all’Associazione, nella consapevolezza di tutto quello che uomini e donne, vecchi e bambini hanno patito in prima persona a causa della guerra, prigionieri, profughi, internati e deportati ridotti a volte in condizioni di schiavitù e di lavoro coatto, e nella coscienza del loro passato di autentico sacrificio individuale e collettivo, l’ANRP sente l’impegno di affermare che le relazioni internazionali, a livello mondiale, debbano avere alla base un ordinamento giuridico fondato sui diritti inalienabili della persona umana. Qualsiasi presupposto che possa ledere il diritto alla vita e alla dignità della persona ci vedrà sempre impegnati in prima linea.
È convinzione e intendimento dell’ANRP che la “qualità” dell’informazione debba rispecchiare la “verità storica” e la “chiarezza della comunicazione” in quanto l’uso corretto dell’informazione e momenti di riflessione come quelli che continuiamo a proporre, tali da essere formativi per una coscienza civile e politica soprattutto dei giovani, con l’auspicio che essi un giorno non lontano possano costruire, su solide basi, un futuro migliore.
Questa pubblicazione, che non a caso abbiamo voluto chiamare le porte della memoria, intende rendere tangibile un momento di passaggio e di rinnovamento e venire incontro, all’interesse dei lettori verso i problemi socio politici del nostro tempo, offrendo loro chiavi di lettura per conoscerne le dinamiche. Precise sono le finalità: la focalizzazione di segmenti storici spazio-temporali che, pur nella loro peculiarità tematica, interagiscano nel contenuto; l’adozione di un metodo storico di ricerca che, attraverso la trattazione, cerchi di portare alla luce il maggior numero di elementi oggettivi di situazioni registrate e di avvenimenti accaduti, affinché il lettore possa formarsi un personale convincimento del fatto presentato.
Si è voluto adottare un profilo antologico e descrittivo per stimolare l’interesse anche dei non addetti ai lavori su un periodo storico che non deve cadere nell’indifferenza e nell’oblio. Pertanto ci si porrà in contatto diretto e immediato con documenti e testimonianze del passato, per coglierne il loro significato e la loro importanza nel tempo, come presupposto e stimolo al progresso.
La collaborazione a questa pubblicazione è aperta a tutti. Per garantire al massimo l’obiettività dell’informazione, sarà lasciata ampia libertà di trattazione a tutti coloro che, con spirito costruttivo, vogliano dare il proprio contributo culturale.
Ciò, a prescindere dalla condivisione o meno, da parte dell’ANRP, di opinioni espresse dagli autori dei lavori pubblicati.
Gli scritti inediti, contenenti un pensiero originale, investono pertanto la diretta responsabilità dell’autore, rispecchiandone le idee personali. Ogni singolo partecipante, attraverso i propri mezzi espressivi e la propria peculiarità culturale, si farà portatore di esperienze intellettuali diverse e complementari.
Sul filo conduttore dei temi di nostro interesse, ogni numero presenterà una miscellanea di contributi di storici, sociologi, studiosi di materie giuridiche, di economia, di arte e di quant’altro sia stato e continui ad essere motivo di riflessione in linea con i nostri valori: il recupero della verità storica e la tutela dei diritti umani per promuovere una cultura di pace e di solidarietà tra i popoli.
Vorremmo che dalla lettura di queste pagine le nuove generazioni apprendessero ad essere consapevoli del retaggio dei loro padri; prendessero coscienza del fatto che Libertà e Pace vanno custodite e difese sempre; imparassero che il destino della propria Nazione, visto nei più ampi confini internazionali, va costruito quotidianamente e con l’impegno di ciascuno, nessuno escluso; con la consapevolezza che noi, i contemporanei, siamo i destinatari di continui richiami al dovere della memoria.